La negazione al tempo del Covid- 19
In questo secondo lockdown, osserviamo il persistere di alcuni atteggiamenti negazionisti, resistenti ad ogni evidenza numerica ed esperienziale. È difficile per la nostra mente reggere il dolore della perdita di un’intera generazione, insieme a molti giovani. Insostenibile il sentimento di paura legato al ricovero insieme a malati e a sanitari distanti e alla solitudine di questa morte. La fuga delle emozioni porta il pensiero ad inseguirle, ad inventare spiegazioni, a caccia di menzogne ed intenti dittatoriali. Riempirsi di rabbia dà l’illusione di movimento, mentre siamo costretti a fermarci; fa sentire vivi, quando abbiamo paura di morire; potenti di fronte all’impotenza in cui ci pone la pandemia. La negazione appare quindi come una possibilità di uscita da un tunnel dentro al quale siamo ormai da troppo tempo. Ma ogni facile soluzione in questa vita reca con sé significativi limiti. Innanzitutto identificarsi nel pensiero di pochi e contro ogni linea guida sanitaria e governativa porta ad essere ancora più soli, soli contro tutti, differenti ad ogni costo. Le regole e le indicazioni di prevenzione e di protezione della salute perdono di senso, addirittura appaiono pericolose, la fatica di ogni giorno diviene insensata. Perdendo significati, la nostra mente perde nutrimento per crescere, evolvere, resistere, generare rinnovamento. Le relazioni si ammalano senza solidarietà e condivisione di linguaggi e vissuti, cariche di discriminazione. La vita in un mondo che complotta e perseguita risulterà presto più spaventosa e faticosa del Covid-19.